martedì 1 luglio 2008

Quando incoronai la regina Elisabetta II

Nel giugno del 1953 mi trovato a Londra. All'epoca tutti gli uomini maschi alti più di 1.80 metri dovevano andare almeno una volta nella loro vita a Londra, a meno che non fossero della Terra del Fuoco e avessero dunque l'esenzione dal pellegrinaggio. Per raggiungere la capitale britannica ero partito nel 1950 da Dover passando per l'Oceano Pacifico, la tratta più conveniente se non si aveva particolare fretta di arrivare a destinazione.

In quella particolare estate a Londra faceva molto caldo rispetto ai tipici standard londinesi, credo ci fossero addirittura 13 gradi. Lo ricordo perché all'epoca giravo sempre con una bottiglia di mercurio in tasca per avere il brivido di morire prima o poi intossicato se si fosse svitato il tappo. Il vantaggio di avere la bottiglietta piena di mercurio era quello di sapere sempre che temperatura ci fosse: bastava dividere per 3,14 il numero indicato dal Big Ben e moltiplicare il tutto per il livello raggiunto dal mercurio nella bottiglia. Altri per misurare la temperatura a Londra usavano gettarsi nudi nel Tamigi e contare quanto tempo gli fosse necessario per morire, ma io non sapevo nuotare e quindi facevo unicamente affidamento sulla mia bottiglietta.

Passeggiavo sereno intorno a Westminster Abbey quando il cerimoniere per l'incoronazione di Sua Maestà mi chiese se volessi fare il quinto cavallo di destra del cocchio reale. All'epoca ero ancora giovane e inesperto e quindi accettai di buon grado, la biada era molto pregiata ed era uno dei piatti più ambiti a Londra assieme alle cervella di ratto, piatto gustoso ed energetico quanto il decotto di pelo di capra.
Mi misero alla carrozza ed ero ormai pronto a tirare il cocchio, quando il Re di Svezia mi vide e volle a tutti i costi prendere il mio posto. Ai re e alle regine non si può certo rispondere in maniera sconveniente, dunque decisi di scalciare un poco e di lasciare infine il mio posto. Il cerimoniere fu molto colpito dal mio gesto e mi offrì di fare il paggetto coronifero, accettai, anche se non avevo un paio di ramponi adatti per adempiere in maniera precisa al mio dovere.

Mentre attendevo l'inizio della cerimonia, decisi di sostituire la corona con una perfetta copia in cerume, materiale di cui la Torre di Londra è stracolma da diverse generazioni. Quando posai la corona sulla testa della Regina, ella non si avvide di nulla e mi fece un generoso gesto con la mano, che nel codice reale d'Inghilterra aveva un significato simile all'attuale "dammi un cinque". La baciai sul bocca come usa la tradizione, ma forse usai meno lingua del dovuto e fui immediatamente tratto in arresto e cacciato dall'Inghilterra.
Un solo oggetto mi ricorda quel momento: la corona originale che ho ancora qui sulla mensola insieme al servizio in porcellana della Barilla. Prima o poi la butterò, non me ne faccio niente di una corona, io. Non ho la testa.

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